Smart-tour: viaggi nella cultura attraverso la macchina del tempo
Sul finire del XIX secolo Parigi era il simbolo del divertimento e della vita spensierata anche grazie ai Café -chantant. ‘Invenzione’ che al di qua delle Alpi prese piede soprattutto a Napoli, dove all’epoca d’oro del caffè-concerto coincise con quella della canzone napoletana. Risale al 1890, infatti, la nascita del Salone Margherita, nella Galleria Umberto, grazie alla lungimiranza imprenditoriale dei fratelli Marino, che capirono l’importanza di un’attività commerciale redditizia da unire al fascino della rappresentazione del vivo. Un’idea d’impresa in cui la Loups Garoux crede da sempre e che vuole riproporre a Napoli, indissolubilmente legata anche alla storia del caffè, quale bevanda. Il termine Caffè deriva dall’arabo qahwa (eccitante), poi divenuto kahve in Turchia, terra dalla quale è arrivato poi in Europa. La pianta, originaria dell’Etiopia, si è diffusa prima in Arabia e poi in Turchia. Ma fu soprattutto Vienna, ad apprezzare questa bevanda dal colore nero tanto da dedicarle alla fine del XVII secolo i Kaffeehaus (i raffinati caffè viennesi).
A Napoli il caffè si diffuse proprio grazie ad una donna, Maria Carolina D’Asburgo, figlia di Maria Teresa, sposa di re Ferdinando IV di Borbone nel 1768. La giovanissima regina volle introdurre a corte usi e costumi viennesi esaltando l’uso del caffè. La bevanda, portata dai mercanti veneziani, era già conosciuta da tempo a Napoli, ma si pensava portasse male a causa del suo colore, il nero. La Chiesa la riteneva addirittura la bevanda del diavolo), per questo motivo non si era diffusa. Si racconta che nel 1771, nella Reggia di Caserta, fu organizzato un ballo dove il caffè venne servito da quelli che, probabilmente, furono i primi baristi, vestiti con giubba e cappellino bianco: nacque i l primo Caffè del Regno di Napoli. Insieme al caffè, Maria Carolina portò nella città partenopea anche il kipferl (il cornetto): la fortunata accoppiata caffè-croissant le fu consigliata dalla sorella Maria Antonietta di Francia. E da questo momento fu Napoli ad eccellere nella preparazione del caffè, grazie all’utilizzo di una particolare tostatura dei chicchi che conferiva alla bevanda un gusto ricco.
Dopo il 1820 arrivò nelle case dei napoletani la cocumella (la caffettiera napoletana inventata dal francese Morize nel 1819), che introdusse la bevanda anche nella cultura popolare. La cocumella alternava il metodo di preparazione per decozione alla turca al metodo di infusione alla veneziana, con un sistema a doppio filtro. Nel 1900, poi, si passò all’adozione della “macchina per espresso” che era molto difficile da maneggiare, ma di cui i napoletani divennero subito abili maestri. Nacque l’espresso napoletano. Questa è solo una delle tante storie che spiegherebbero come sia arrivato il caffè a Napoli e perché sia diventano un culto. Un’altra vede come protagonista il musicologo Pietro Della Valle e risale ai primi del ‘600, un’altra ancora Alfonso d’Aragona che narra della presenza del caffè a Napoli già dal 1450. La cosa certa è che a Napoli si iniziò ad apprezzare l’amara bevanda solo agli inizi dell”800, con i caffettieri ambulanti che percorrevano la città in lungo e in largo muniti di un recipiente di caffè e uno di latte, e di un cesto con tazze e zucchero, per offrire una colazione veloce ai napoletani più affrettati. Altra certezza è che i kaffeaus di Napoli divennero centri culturali di rilievo per gli intellettuali e raggiunsero la massima diffusione nel 1800, unendosi, appunto, anche alle vicende dei cafè-chantant, ricalcando il modello francese persino nella lingua utilizzata: i cartelloni, i menù, perfino i contratti degli artisti erano scritti in francese. I camerieri in livrea parlavano francese, così come gli spettatori: gli artisti usavano nomi foto Sciantosa; arte in onore ai divi e alle vedette parigine. È chiaro come la clientela che affollasse il Salone Margherita non fosse gente del popolino: in ogni caso, per i più disparati gusti, sorsero altri café-concert foto Gambrinus Partenope, la Sala Napoli e altri ancora che ricalcavano spesso, anche nel nome, i café-chantant parigini. Anche altri bar di Napoli, che in passato non presentavano spettacoli, si adattarono al gusto del momento presentando numeri di varietà misti a canzoni. Importanti e famosi artisti che iniziarono la loro carriera proprio nei caffè-concerto furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
Il café-chantant divenne in Italia non solo un luogo e un genere teatrale, ma come in Francia, il simbolo della bella vita e della spensieratezza, in coincidenza con la Belle époque, destinata a terminare con l’avvento della Prima Guerra Mondiale. La Loups Garoux intende unire l’atmosfera e il concetto di Grand Tour, così in voga fra gli europei dell’800, e che vedeva Napoli e i Campi Flegrei come tappa fondamentale per visitare siti archeologici e osservare dal vivo eventi naturali, con l’audience development possibile grazie alle nuove tecnologie. Un esempio illustre è il racconto che Goethe ne fa in Italianische reise. Sommer e l’evoluzione del Grand Tour Chi era Giorgio Sommer? Conterraneo di Goethe, George Sommer, fotografo tedesco, ha raccontato l’Italia come pochi altri, grazie alle sue immagini, soprattutto della Napoli antica e della Campania. Sommer era figlio di una famiglia borghese di Francoforte. I genitori desideravano per lui un futuro da imprenditore e lo iscrissero alla facoltà di Economia. Il giovanissimo Sommer aveva però progetti diversi: aveva un grande spirito d’osservazione per i panorami, ma non sapeva disegnare. Fu così che i genitori gli regalarono la prima macchina fotografica quand’aveva appena vent’anni, nel 1851. Presto decise di abbandonare lo studio e seguire la sua passione lavorando per un atelier locale. La fotografia era un’arte nuovissima e trovare lavoro era abbastanza semplice per un buon tecnico: fu così chericevette il primo ingaggio ufficiale dalla Confederazione Elvetica: il governo svizzero gli chiese di realizzare alcune fotografie di paesaggi montani per studiare la costruzione di nuove strade e ferrovie. Fu il primo passaggio, l’inizio di una carriera da fotografo che ha raccontato un mondo che non esiste più. Il giovane Georg era attratto dall’Italia e dall’antichità. Non a caso era nato nella stessa città di Goethe e, proprio come il suo conterraneo, sognava di poter fotografare di persona le meraviglie di Roma e di Napoli. Dopo un periodo a Roma, Sommer si trasferì a Napoli nel 1858 e aprì uno studio in Salita Chiaia numero 168. Sommer si scontrò con le barriere linguistiche e, davanti all’insistenza dei napoletani, cambiò il suo nome da “Georg” in “Giorgio”. La fotografia, all’epoca, era cosa per pochi. Per scattarla erano necessarie competenze tecniche avanzate e macchine ingombranti che producevano lastre negative di grande formato. Nei primi periodi la tecnica richiedeva esposizioni che duravano anche 10 o più minuti per realizzare una singola foto. Ed era già un passo avanti incredibile, se confrontato con la lentezza di un dipinto. Molte fotografie “folkloristiche” dell’epoca sono state realizzate in studio. Eppure, i limiti tecnici dell’epoca non fermarono nemmeno per un attimo la passione di Sommer, che portava con sé il suo enorme banco ottico e visitò l’Italia intera per realizzare panorami, da Bologna a Venezia, passando per Genova, Milano, Firenze e Roma, in cui fondò una società con il suo compatriota Edmondo Behles. Il fotografo tedesco, ad esempio, ci ha regalato molti panorami di Messina prima che venisse distrutta dal terremoto del 1908, così come sono preziosissime le sue tante fotografie di Catania e Palermo, in cui aprì la succursale del suo studio assieme al figlio. Una carriera così ricca fu premiata presto, quando ne 1865 fu nominato primo fotografo ufficiale di Vittorio Emanuele II.
Napoli rimase il centro della vita e delle opere. Nel suo studio vendeva le fotografie scattate durante i suoi tanti viaggi, ognuna realizzata con tecniche e strumenti sempre più raffinati: la scienza della fotografia avanzava rapidamente e si passò in un battibaleno dal dagherrotipo al collodio, arrivando poi alla pellicola che ancora oggi conosciamo. Lo sviluppo dei negativi era un procedimento chimico estremamente lungo e complesso e Sommer fu anche fra i pionieri del fotogiornalismo. Dopo ogni evento storico, si fiondava sul posto per documentarlo con le fotografie. Ed ecco che abbiamo immagini dal valore inestimabile sul terremoto che rase al suolo Casamicciola nel1883 (lo stesso che portò Mercalli a creare la Scala Mercalli), così come abbiamo testimonianze storiche incredibili. Sommer aveva una attenzione maniacale per i dettagli e per la pulizia dell’inquadratura e, una cosa che si capisce chiaramente nel suo amore per i panorami e i campi larghi. Fu un precursore anche nella Still Life: lavorò per il Museo Nazionale e li aiutò a documentare, catalogare e vendere immagini delle opere d’arte esposte. Praticamente un modo di mostrare agli altri la foto ricordo di un oggetto visto durante un viaggio, quando erano inimmaginabili i cellulari, Facebook e le fotocamere portatili. Sommer morì a 79 anni, il 7 agosto 1914, pochi giorni dopo un altro tedesco, l’ottico Ernst Leitz, fondò a Wetzlar la Leica, l’industria che ha raccontato il mondo grazie alle sue fotocamere. La figlia di Sommer, Carolina, a quello stesso indirizzo aprì le porte del suo Salotto alla Napoli fatta di artisti e letterati, divenendo un punto di riferimento culturale per la città partenopea fra le due guerre, in cui trovano spazio l’arte, la musica e la fotografia, immortalava i suoi ospiti in un angolo dedicato e straordinario documento e testimonianza del passaggio di personalità della musica della politica e grandi intellettuali nella Capitale europea della cultura. Un modello distante dalla prosaicità assunta da molti cafè concerto, divenuti in quegli anni luogo di incontro fra sciantose e uomini in cerca di avventure. Carolina diviene invece un’operatrice culturale, organizza tour guidati da Pompei ed Ercolano ai Campi Flegrei, che terminano poi nel suo Salotto, antesignana del marketing territoriale e culturale. Marta Bifano, che di Sommer è lontana pronipote, e la sua socia Francesca Pedrazza Gorlero intendono ricreare le suggestive atmosfere del Grand Tour, producendo audio e videoguide inclusive e innovative per promuovere gli accessi turistici al parco archeologico dei Campi Flegrei. Questa iniziativa prenderà il nome di Sommer Smart Tour non solo per rispettare l’eredità culturale di uno dei protagonisti della storia culturale di Napoli, ma per onorare l’innovativa prospettiva di un uomo curioso, pioniere di una tecnica nuova, di una visione del mondo, e di sua figlia Carolina. E proprio al Parco Archeologico dei Campi Flegrei, il Museo archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia, l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli e il Parco archeologico delle Terme di Baia, oggetto del Grand Tour, si vuole dedicare un progetto multimediale che promuova in modo inedito il territorio e le sue meraviglie, proprio come Carolina Sommer aveva creato nella sua epoca. Il progetto si propone di offrire ad appassionati della cultura, a studenti e cittadini appartenenti alle categorie svantaggiate, un’opportunità di fruizione della Cultura legata in primis alla storia di Sommer a Napoli come capitale della cultura europea e ai suoi attrattori, tra cui il Parco archeologico dei Campi Flegrei. subito abili maestri. Nacque espresso napoletano. Questa è solo una delle tante storie che spiegherebbero come sia arrivato il caffè a Napoli e perché sia diventano un culto. Un’altra vede come protagonista il musicologo Pietro Della Valle e risale ai primi del ‘600, un’altra ancora Alfonso d’Aragona che narra della presenza del caffè a Napoli già dal 1450. La cosa certa è che a Napoli si iniziò ad apprezzare l’amara bevanda solo agli inizi dell”800, con i caffettieri ambulanti che percorrevano la città in lungo e in largo muniti di un recipiente di caffè e uno di latte, e di un cesto con tazze e zucchero, per offrire una colazione veloce ai napoletani più affrettati. Altra certezza è che i kaffeaus di Napoli divennero centri culturali di rilievo per gli intellettuali e raggiunsero la massima diffusione nel 1800, unendosi, appunto, anche alle vicende dei cafè-chantant, ricalcando il modello francese persino nella lingua utilizzata: i cartelloni, i menù, perfino i contratti degli artisti erano scritti in francese. I camerieri in livrea parlavano francese, così come gli spettatori: gli artisti usavano nomi d’arte in onore ai divi e alle vedette parigine. La Loups Garoux intende unire l’atmosfera e il concetto di Grand Tour, così in voga fra gli europei dell’800, e che vedeva Napoli e i Campi Flegrei come tappa fondamentale per visitare siti archeologici e osservare dal vivo eventi naturali, con l’audience development possibile grazie alle nuove tecnologie. Una carriera così ricca fu premiata presto, quando ne 1865 fu nominato primo fotografo ufficiale di Vittorio Emanuele II. Napoli rimase il centro della vita e delle opere. Nel suo studio vendeva le fotografie scattate durante i suoi tanti viaggi, ognuna realizzata con tecniche e strumenti sempre più raffinati: la scienza della fotografia avanzava rapidamente e si passò in un battibaleno dal dagherrotipo al collodio, arrivando poi alla pellicola che ancora oggi conosciamo. Lo sviluppo dei negativi era un procedimento chimico estremamente lungo e complesso e Sommer fu anche fra i pionieri del fotogiornalismo.